martedì 6 novembre 2007

Il grande vuoto di Cosa Nostra

di FRANCESCO LA LICATA
PALERMO - E adesso? Ora che Salvatore Lo Piccolo, «Totuccio», è finito in galera, e pure il figlio, Sandrino, l’ha seguito insieme con due pezzi grossi del «dopo Provenzano», ora che Palermo è di nuovo senza «testa dell’acqua», come finirà col problema degli scappati? C’è una generazione di Inzerillo - quelli di New York che hanno fatto i matrimoni incrociati coi Gambino e con gli Spatola - in attesa di riprendere il proprio posto dentro Cosa nostra. Sono i sopravvissuti della guerra di mafia degli Anni Ottanta, i superstiti della mattanza ordinata da Totò Riina, salvi solo dopo aver assicurato che avrebbero ubbidito all’ordinanza corleonese che li mandava in esilio negli Usa, con l’esplicita clausola che mai e poi mai sarebbero tornati a Palermo. Ma questo editto di recente era stato messo in discussione e capofila del partito del ritorno degli scappati era proprio Salvatore Lo Piccolo. Il vuoto totale Ovviamente c’era uno schieramento opposto, ma chi lo guidava - Nino Rotolo e il medico Antonino Cinà - non può più accampare diritti perché ha preso la via del carcere già da un anno e mezzo. Ecco, in questo vuoto totale, che ne sarà dei progetti di riannodamento dei fili coi paisà d’oltre Oceano? La domanda ha la sua importanza, anche se al procuratore antimafia, Piero Grasso, può sembrare addirittura riduttiva, perché - dice lui - «io mi chiederei: che ne sarà di Cosa nostra?». Già, non sta affatto bene la vecchia consorteria. Il procuratore vede un grande vuoto di potere: «Riina malato in carcere, come Provenzano. Quelli che avrebbero dovuto “continuare il lavoro”, Rotolo innanzitutto, immobilizzati dal carcere duro». E l’altro fronte non può certo sorridere perché da ieri ha perso l’uomo che sembrava capace di controllare il territorio ed imporsi come «naturale sbocco» (parole di Grasso) per il popolo di Cosa nostra, per gli affari e per le sinergie politiche. Il vertice trapanese Resiste il vertice trapanese, Matteo Messina Denaro, ma non è pensabile un «commissariamento» di Palermo sotto la tutela di Trapani. Il risultato è che la “sede sociale” è rimasta senza rappresentanza legale. E’ ovvio che, in un simile clima, il «problema americano» assume la sua importanza perché non può che aggravare lo stato di debilitazione di Cosa nostra. Nell’anno precedente, dentro la mafia, si era molto dibattuta la questione e la spaccatura non si era fatta attendere: favorevoli agli Inzerillo, contrari e possibilisti con la «benedizione» di Bernardo Provenzano, specialista della mediazione e quindi mai completamente favorevole e mai del tutto contrario. Le turbolenze erano arrivate ed erano ricomparse le armi, anche se in «operazioni chirurgiche» come quella che avevano portato all’eliminazione del vecchio Lino Spatola, il boss che era stato il capo di Salvatore Lo Piccolo. Ma lui, «Totuccio» (sempre affiancato dal suo Sandrino che ieri mattina, vedendolo in manette, gli ha urlato: «Papà ti amo»), sembrava abbastanza saldo e contribuiva a trasmettere sicurezza e fiducia nel futuro all’intera organizzazione. Chissà, se Lo Piccolo avesse scelto uno stile di vita più vicino alle scelte minimaliste di Provenzano, forse non sarebbe stato arrestato. E invece i Lo Piccolo hanno sempre ceduto all’esteriorità. Negli Anni Settanta, quando sparava per conto di Saro Riccobono, padrino della borgata di Partanna e Pallavicino, ogni omicidio commesso da lui era una vera e proprio firma, per la cura con cui veniva eseguito. Ma poi non spariva, «Totuccio». Anzi si faceva vedere, spendeva, esibiva, non riusciva a nascondere neppure lo «scandalo» di una relazione extraconiugale. Bon vivant anche il figlio Sandrino, gran frequentatore di locali pubblici. Eppure riuscivano a comandare, anche dopo esser saliti sul carro dei corleonesi, e forse credevano di essere al di sopra di tutto e di tutti. Ora sverneranno al 41 bis, con il non secondario cruccio di aver lasciato un’organizzazione allo sbando. Già, perché non è roseo lo scenario che si prefigura. Al di là della miccia degli scappati, problema rimasto irrisolto, ci sono altri «problemini» di non facile soluzione. «Con il boss catturato - avverte Piero Grasso - si chiude la lista dei componenti la "Commissione". Gli ultimi rimasti erano, come dicono gli stessi boss intercettati, Rotolo, Cinà e Lo Piccolo. C’è da chiedersi, dunque, chi prenderà le decisioni importanti?». Il Procuratore vede una destrutturazione di Cosa nostra dal basso e dall’alto. Già si era verificata una semplificazione della catena di comando con l’abolizione dei mandamenti, non più in grado di reggere all’assenza di quadri qualificati, e l’istituzione di «aree d’influenza» molto estese per poter far fronte alla carenza di dirigenti. Oggi, con le famiglie indebolite dalla repressione, si potrebbe arrivare a ipotizzare una sorta di ritorno alla mafia «ante Commissione», quando i dissidi interni non erano ammortizzati da nessun «organo centrale» e si risolvevano con la legge della lupara. Soldi e droga Oppure, per paradosso, proprio il benessere prodotto dall’eventualità dell’arrivo dei soldi degli americani e della droga potrebbe convincere quello che rimane degli schieramenti ad un accordo. D’altra parte la storia della mafia è piena di «improvvise pacificazioni» favorite dagli affari: «Il morto è morto, pensiamo ai vivi», è uno degli slogan più concreti e fortunati dentro Cosa nostra. C’è da sottolineare semmai, ricorda ancora Grasso, che una linea pacifista basata sui soldi potrebbe essere resa problematica dall’altro grande problema della mafia: i carcerati che non si sentono garantiti da chi sta fuori. Ce ne sono, dunque, di ipotesi inquietanti. Scenari favorevoli e positivi per un miglioramento dello stato della lotta alla mafia. Lo Piccolo, si sa, è stato soprattutto il signore del racket. Si deve a lui la ripresa in grande stile delle estorsioni e persino del «pizzo» imposto anche ai piccoli commercianti. Un’oppressione che aveva già provocato qualche accenno di ribellione degli imprenditori, proprio per la voracità delle richieste. Chissà, dopo la sua cattura, potrebbe essere giunto il momento per dare la spallata agli esattori di Cosa nostra. Questo auspica Piero Grasso.
La Stampa, 6 novembre 2007

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