martedì 16 settembre 2008

Campi di Lavoro a Corleone. Suoni, colori, bandiere, striscioni, ma la parola-chiave è futuro!

di MARTA FIORE
Nonostante sia ormai finita l’estate, rimango tuttora ancorata all’esperienza più politicamente rilevante della mia vita: Corleone, il campo di lavoro sui terreni confiscati alla mafia.
Perché a Corleone tutto diventa politica: l’arrivare, il partire e l’arrivare di nuovo, accompagnati dalle parole di un vicino, la partita di calcio in piazza, i compleanni in quelle case che, se per i volontari diventano subito le loro case, per i corleonesi sono ancora casa Grizzaffi (nipoti di Riina) e casa Provenzano.
Perfino una cena nella pizzeria della piazza, i luoghi, la terra, le parole, i gesti: tutto ha una densità diversa che bisogna prima di tutto ascoltare per imparare a riconoscere e a rispettare. La terra è la vera protagonista, il filo conduttore, l’elemento imprescindibile da cui si è mossa la Storia. Suoni, colori, bandiere, striscioni, pomodori, etichette, pale di fichidindia, viaggi, saluti, lacrime, sorrisi, promesse, futuro: ecco la parola chiave, futuro. Quel futuro così lontano da sembrare assurdo negli anni ’50, quel presente così vivo oggi nei nostri gesti, ma così rivoluzionario che vent’anni fa non era nemmeno possibile immaginarlo. E tutto questo è reso possibile dall’ordinarietà dei gesti dei soci della Cooperativa che vanno in campagna come chiunque altro nel paese ma che affrontano, mettendoci la loro faccia, una realtà “strana”, che a volte mantiene l’apparenza della normalità a volte neanche quella!
Tutto questo diventa possibile in quella Corleone così apparentemente arroccata nella sua storia, ma pronta – con la generosità tutta siciliana – a lasciarsi pian piano contaminare dai 400 giovani che la invadono ormai come appuntamento fisso ogni estate.
Diventa possibile che i soci lavoratori - anziché restar rinchiusi nelle loro case dallo stigma della paura - lavorino e vivano la loro vita da persone inserite nella società, consapevoli di non essere portatori di svantaggio ma – semmai - di una diversità che è risorsa.
E diventa possibile giocare una partita di calcio con i volontari dei campi, lo psichiatra del DSM e i soci della cooperativa senza che sia possibile dall’esterno capire dove stia la “diversità”.
E’ proprio vero – come ci siamo detti in verifica finale – che vogliamo
essere “la torre”, nel senso del mattoncino che ciascuno contribuisce a costruire
avere il “borsellino”, nel senso del grande bagaglio d’esperienza facile da portare con sè
diventare “impastato”, nel senso di contaminarsi al punto da stare dentro quest’esperienza, questa terra, questa Storia;
é proprio vero che c’è qualcosa di più alto qui che ti “costringe” all’essenzialità, che ti educa alla schiettezza e alla laboriosità.

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