lunedì 22 settembre 2008

SICILIA, UN FEDERALISMO A LA CARTE

di Agostino Spataro
Avremo, dunque, un federalismo fiscale a la carte che riserva agli amici i piatti più prelibati?
Se la logica è quella del contestato articolo 20 della bozza Calderoli parrebbe proprio di si.
Contro tale norma sono insorti fortissimi dissensi, in Italia, mentre in Sicilia, regione beneficiaria, solo grandissimi silenzi. Sembra che anche in politica valga il motto che tanta fortuna ha portato alla mafia (traduco): la migliore parola è quella che non si dice.
A difendere l’articolo sono rimasti soltanto i due coautori: il succitato ministro leghista e Lombardo presidente della regione siciliana individuata come unica destinataria delle accise sui prodotti petroliferi.
Seguiremo il prosieguo e gli approdi di tale polemica, destinata a trascinarsi per un bel po’.
Quello che più mi preme rilevare è il metodo seguito per giungere alla formulazione dell’articolo e il clima, di sostanziale isolamento dei due, che non lascia ben sperare. Anzi potrebbe portare ad un’abrogazione della norma o quantomeno ad una sua modifica in senso molto restrittivo.
Non sarebbe questa la prima volta che il governo fa marcia indietro.
Si potrà sempre dire ch’era solo una trovata uscita dal cilindro di Calderoli per ingraziarsi un governatore alleato (elettorale) il quale, senza questa cortesia non potrebbe assolutamente accettare il progetto.
In politica, per altro, il metodo non è solo una questione di stile (molto inusuale in questo caso), ma di sostanza specie quando si trattano affari di stato.

Non sarà un’altra “porcata”?
Per essere chiari: una legge di così decisiva importanza per il futuro politico e istituzionale del Paese non può essere frutto di questo mix oscillante fra continui ricatti politici, minacce secessioniste e trattative anomale, addirittura personalistiche, per accontentare questo o quello.
Credo abbia fatto molta impressione apprendere che per accordarsi sul contrastato articolo Calderoli e Lombardo si siano visti, in piena estate, in una amena località di montagna. Come per una battuta di caccia alla quaglia. Quasi fossero state abolite le sedi costituzionalmente preposte a questo tipo di relazioni fra Stato e regioni.
Se questo è il metodo di fare le riforme in Italia, ne vedremo delle belle nei prossimi mesi.
Perciò, non ci si deve meravigliare se poi la gran parte dei presidenti delle regioni, degli stessi esponenti dei partiti della maggioranza, dissentono dalla proposta del ministro leghista, il quale l’ultima volta che è stato al governo (sempre con Berlusconi) si rese famoso al grande pubblico per la clamorosa “porcata” di legge elettorale che sta portando all’agonia la democrazia italiana.
Siamo sicuri che questa riforma non sia dello stesso spessore della precedente?
Interrogativi più che legittimi che fanno aumentare le preoccupazioni e la confusione generate da questo ddl che, se non corretto, potrebbe produrre una sorta di federalismo fiscale a la carte e non una riforma basata su principi e regole uguali per tutte le regioni, anche se bisogna mettere in conto che le nuove norme andrebbero a cozzare con molte delle prerogative accordate alle regioni a statuto speciale.

Più che riforma sarà antiriforma
Insomma, più che una riforma potremo avere un’antiriforma, cui seguirà il caos. Ma chi se ne frega. Tanto Bossi e la Lega vogliono il “federalismo” non tanto per mettere ordine ai bilanci e alle spese delle regioni quanto per far fare un passo avanti al loro progetto secessionista, mai veramente abbandonato.
Insomma, una secessione a piccoli passi, con l’obiettivo di scardinare l’assetto unitario e solidale dello Stato, muovendo dall’interno delle istituzioni.
A ben pensarci, anche il decreto Maroni sul trasferimento ai sindaci di molte, delicate competenze (e pochi fondi) sulla sicurezza obbedisce a tale logica: ognuno si faccia la propria legge senza più sentirsi vincolato al rispetto di alcuni fastidiosi simulacri come la Costituzione, i codici e robetta del genere. E così assistiamo ad un fiorire di ordinanze sindacali davvero fantasiose.
Se questo è- come pare- lo scopo della riforma non ci capisce cosa abbia da spartire la Sicilia col disegno leghista. Lo vorremmo capire dal presidente Lombardo che continua a frequentare Bossi e compagnia briscola.
Infine una domanda: la strada imboccata, in solitudine, per arrivare all’art. 20, è la più giusta?
A molti non pare. Anche perché se dovesse saltare, com’è probabile, questo articolo, Lombardo resterebbe con un pugno di mosche in mano e con la difficoltà di spiegare, da solo, ai siciliani la sua precipitosa adesione al progetto di riforma, senza aver cercato un minimo di coordinamento con altre regioni meridionali e a statuto speciale e, sembra, senza la necessaria intesa con i partiti alleati.
Sarebbe il tracollo per le finanze della regione e per il suo attuale schieramento di governo.

Un progetto diabolico, quasi perfetto
Ovviamente tutto si può fare, purché ciascuno se ne assuma la responsabilità. Senza mai dimenticare- nel caso specifico- che la riforma leghista, maturata nel contesto di un certo egoismo nordista, mira a riprendersi il di più che si ritiene aver dato alla Sicilia e al Sud.
Una fandonia, giacché, facendo bene i conti, si potrebbe dimostrare esattamente il contrario.
Insomma, per la Sicilia e il Sud sarà un frutto avvelenato, un osso per scatenare la zizzania fra le regioni meridionali. Un progetto diabolico, quasi perfetto, per prendere con una fava chissà quanti piccioni, al nord e al sud.
Il principale problema della Sicilia, come di altre regioni del sud e anche del nord, è quello di avviare seri programmi di lotta agli sprechi, di risanamento per rimettere ordine ai loro bilanci e razionalizzare la spesa, divenuta ingovernabile soprattutto in alcuni settori.
Per fare tutto ciò non è necessaria la cura leghista, ma basterebbero una svolta politica e di governo e uno sforzo congiunto fra Stato, regioni e Unione Europea.
Comunque sia, per la Sicilia la faccenda è molto seria e non riguarda il solo Lombardo, ma tutti i partiti di governo e d’opposizione, le forze sociali sindacali ed economiche, la cultura e l’associazionismo, i cittadini. Di mezzo c’è il futuro dell’Isola e dell’Italia. Bisogna uscire da questo imbarazzato o calcolato mutismo e prendere posizione, ciascuno assumendosi, pubblicamente, le proprie responsabilità.
Agostino Spataro
22 settembre 2008

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