mercoledì 7 gennaio 2009

Riina su Facebook, indaga il pm: "Forse operazione di mafia"

di ATTILIO BOLZONI
Se Totò Riina è diventato "un mito" e Bernardo Provenzano lo vogliono fare "subito santo", qualcuno si sta chiedendo se per caso i mafiosi non abbiano deciso di utilizzare anche la Rete. Per andare alla ricerca di qualcosa che in Sicilia non hanno più come avevano prima: il consenso.
Su Facebook forse non sono soltanto certi scapestrati ragazzini a inneggiare ai boss, forse c'è anche dell'altro. Alla procura di Palermo "guardano con molta attenzione" a quello che sta avvenendo in questi giorni sul social network più frequentato di Internet, insomma sembra prossima l'apertura di un'inchiesta giudiziaria. In Rete non sono finiti solo gli "auguri ai Padrini" o le foto di quelli che hanno aderito ai Provenzano fans club, c'è anche chi ha messo in discussione sentenze definitive su capimafia accusati di omicidi e stragi, chi ha più volte ribadito nei suoi messaggi: "Ma siamo sicuri che quei verdetti siano davvero giusti?". Il sospetto è che dietro la stupidaggine e la volgarità di alcuni si nascondano personaggi con ben altri obiettivi. Come se ci fosse una regia. Per riproporre i soliti temi cari ai mafiosi: la revisione dei processi e un aggiustamento del 41 bis. Per ora è soltanto un'ipotesi. Ma è un'ipotesi davanti alla quale il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso non si stupisce. Al contrario, il procuratore risponde: "Ci credo, è possibile. Non siamo più ai tempi del sasso in bocca. E se fino a qualche anno fa c'erano ancora capi mandamento di Palermo che nei loro salotti parlavano di contattare giornalisti importanti per sostenerli in una campagna propagandistica, perché dobbiamo escludere che i mafiosi oggi non sfruttino mediaticamente tutte le possibilità?".

Aggiunge Grasso: "I mafiosi si muovono nel mondo globale a grande velocità, sono sempre i più svelti ad adattarsi alle novità". Dopo i proclami - famoso quello di Leoluca Bagarella il 12 luglio del 2002 davanti alla Corte di Assise di Trapani - e dopo le pubbliche manifestazioni per un carcere meno duro - famoso lo striscione esibito il 22 dicembre 2002 dagli ultras alla curva sud dello stadio della Favorita - potrebbe diventare il web la nuova frontiera mafiosa. Già qualche tempo fa qualche uomo d'onore era particolarmente interessato alle potenzialità della Rete. E c'era già chi la stava "studiando". Erano stati i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, quelli di Brancaccio coinvolti nelle bombe di Firenze e Roma e Milano del '93, a dare incarico alla sorella Nunzia (intercettata a colloquio con i fratelli mentre parlava proprio di esplorare il mondo on line per loro conto) per intervenire sulle cose di famiglia. E per lanciare segnali. Per promuovere "l'immagine mafia" in Sicilia e in Italia. Le ultime scorribande su Facebook rientrano nella nuova strategia di comunicazione di Cosa Nostra?

È quello che proverà ad accertare l'inchiesta che si prepara ad aprire la procura della repubblica di Palermo - probabilmente la delega sarà affidata alla polizia postale - nei prossimi giorni. Il confine fra chi è diventato "amico di Totò Riina" e chi invece sta progettando altro in Rete, naturalmente è assai sottile e scivoloso. Neanche una settimana fa erano già migliaia quegli "amici" dei boss corleonesi - 2228 iscritti al fianco del solo "zio Totò", 34 i Provenzano fans club, 85 i ragazzi che sostengono il sito "Ma cosa vi ha fatto il figlio di Riina?". Un modo per sostenere Salvo, il secondogenito del boss, nella sua ultima battaglia. Quella di lasciare Corleone, dove oggi è ancora al soggiorno obbligato, per emigrare a Cernusco sul Naviglio e rifarsi una vita. Ottantacinque ragazzi che vogliono generosamente offrire una chance a un loro coetaneo o qualcosa d'altro? "È preoccupante che certi personaggi di mafia esercitino un grande fascino. Per cercare di apparire dissacratori, controcorrente, originali, quei ragazzi finiscono per alimentare il mito di assassini, autori di stragi", dice il neo procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia. E ancora il procuratore Pietro Grasso: "Non sono d'accordo per una censura del sito, oscurare non serve. Contro chi inneggia a quei boss bisogna scatenare una grande reazione civile. E sommergere quegli altri con una valanga di messaggi di segno contrario". È un po' quello che è accaduto. Più di 100 mila firme su Facebook per cancellare i "sostenitori" dei boss di Corleone. E altre 50 mila per gridare: "A noi la mafia fa schifo".
(La Repubblica, 7 gennaio 2009)

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