giovedì 23 aprile 2009

LETTERA APERTA A DINO. Ovvero, storia di Din …Don… Don…Din o … e Don…

di COSMO DI CARLO
Caro Din….o
Ho aspettato che si attenuasse la nuvola scura formata dal nero delle seppie in fuga per scrivere, scrivermi e scriverti queste modeste riflessioni, mentre l’acqua sta schiarendo e gli anonimi si calmano, sul “caso” dei tre ragazzi scout, di Padre Giuseppe Gentile, del giornalista, delle pie donne, dei bigotti e di una comunità…e di una città alla continua ricerca di riscatto dalla mafia e dagli ammiratori e fans dei boss”.
Conosco e stimo Giuseppe Gentile. Egli opera in un quartiere difficile, popolare, e con sacrificio è riuscito a far fare gruppo alla gente, conservando le tradizioni, aggregando i giovani nell’oratorio e nel gruppo degli scout variamente popolato da ragazzi che provengono da famiglie di diversa estrazione sociale. Frequentano la sua parrocchia gran parte dei giovani figli delle 200 famiglie di contrada Poggio. I locali in parrocchia scarseggiano; alcuni sono stati affittati per consentire alla gente di incontrarsi per fare comunità (comune-unità), che significa gioire per gli accadimenti positivi e rattristarsi e partecipare solidali agli affanni degli altri davanti agli accadimenti negativi. Quando ha celebrato il matrimonio famoso, proprio durante la cerimonia, mentre i colleghi filmavano e scrivevano ed i parenti degli sposi gioivano, i mafiosi mafiavano e gli antimafiosi antimafiavano, una pompetta gli “sparava” in corpo le medicine con le quali Don Giuseppe si curava da qualcosa di curabile per fortuna. “Ho gestito male il rapporto con i mass-media. Nessuno mi ha aiutato”, ha confessato al direttore di Città Nuove. Ai colleghi di importanti testate nazionali che in quei giorni mi telefonavano ho detto: “Non pensate che Fra Giuseppe Gentile sia Don Coppola o Don Mario Frittitta (quello che portava la comunione al boss Pietro Aglieri latitante, cognato di Carlo Greco ed accusato di 46 delitti). Ne sono sempre convinto.

I tre ragazzi – Giovanni, Eugenio ed Enrico li ammiro per il coraggio con il quale hanno saputo raccontare i fatti a Dino Paternostro. Credo che non siano alla ricerca di facile notorietà. Vanno ascoltati, compresi e reintegrati nel gruppo. Hanno sofferto per le parole dette da Padre Gentile. Ci tengono tantissimo a far parte degli scout, dove hanno maturato nel tempo amicizie ed affetti. Padre Gentile nell’intervista ha dichiarato di essere disponibile al “perdono” (che io sostituirei da giornalista “a far pace”): non potrebbe essere altrimenti.. Quando è nata la loro amicizia con il parroco noi tutti non c’eravamo, vorremmo essere presenti alla festa di riconciliazione! I tre nostri ragazzi hanno partecipato ai campi di lavoro antimafia in Toscana e fatto conoscere la Corleone Bella, quella che ci piace sapere proiettata nel futuro. Sono andati alla manifestazione antimafia del 21 Marzo 2009 a Napoli. Per ricordare, con Don Luigi Ciotti e Libera, le vittime di tutte le mafie e, in particolare, Don Giuseppe Diana, assassinato a Casal di Principe, nella sua sacrestia, dalla Camorra il 19 marzo del 1994, giorno del suo compleanno, e Don Pino Puglisi, assassinato dalla mafia a Brancaccio il giorno del suo 56’compleanno, il 15 settembre 1993. I compleanni, a quanto pare, non portano bene ai preti antimafia!

Don Luigi Ciotti. Che non ha ancora incontrato Don Giuseppe Gentile Ha fondato nel 1995 “Libera”, l’associazione delle 1000 associazioni antimafia. Viene spesso a Corleone, dice di “voler legare la terra al cielo” e “ricarica” le nostre batterie. Non parla più di società civile, ma di società responsabile. Se Luigi chiama ed indica una data e un’ora: 400.000 giovani, anche scout, partono da ogni parte d’Italia e si riuniscono nel punto indicato dal prete. E’ facile incontrarlo, basta volerlo. Non è concorrente dei politici, né di nessun altro. La prima associazione fondata a Torino fu ed è il “Gruppo Abele”, che si occupa di giovani difficili…di tossici, di mele marce, che il prete riusciva e riesce a recuperare e reinserire nella società… responsabile. La prima forma di responsabilità è la parola, la firma. Nella società responsabile “cestinansi gli anonimi”. E le seppie, che sono cugine della Piovra, che per scappare dalle responsabilità sputano il nero che hanno dentro e nel buio senza firma si nascondono.

Due parole vanno scritte anche per dare merito a te, Dino, ed a “Città Nuove”. Civiltà è Cultura della Parola. Responsabilità di quello che si dice e si afferma. Quelli che sono stati scritti sul giornale sono fatti veri . A Corleone le parole sono pietre. Sia quando le scrive il giornalista, che quando le dice il prete. E quando si dicono ai ragazzi ed ai bambini, ai quali non bisogna promettere dolcini senza averli (“Un prumettiri missi a santi nè cuddureddì ai picciriddi”). Dino Paternostro non ha bisogno di fare scoop, lo dico ai bloggers paesani anonimi ed alle “pie” donne. Dino è uno che da sempre ci mette la faccia e la firma da giornalista e da scrittore. E tanto basta.. Per le pie donne ed i parrocchiani che si sono levati in “giusta difesa” di Don Giuseppe Gentile (che non ne ha bisogno e, in ogni caso, sa difendersi bene da solo) diciamo che il campo della lotta che intravediamo, dal nostro modesto punto di vista, per la comunità della Madonna delle Grazie è vasto e comprende, oltre all’impegno cristiano per il prossimo, ed al santificare le feste, anche la richiesta di più vivibilità per le periferie, più luoghi ed occasioni d’incontro per i giovani, più collegamenti e servizi per il quartiere e la città. Meno amianto a San Marco, ed anche, e perchè no, ci auguriamo che parta vibrata e forte la richiesta di verità e giustizia per Paola Vernagallo, la parrocchiana assassinata il 7 gennaio del 2007, di cui non si parla più.
Ha scritto Mario Midulla che valgono per la mafia ed i mafiosi (omertosi- latitanti, anonimi) le parole di Papa Giovanni Paolo II ad Agrigento. “Convertitevi, un giorno verrà il giudizio di Dio!”. Dovremmo convertirci tutti, non al silenzio dell’omertà, ma al silenzio della meditazione e della preghiera, ed imparare a far parte della società responsabile. Quella che non si nasconde, firma, contesta, protesta, riaccoglie, dialoga, perdona e si batte ogni giorno per mettere in pratica le parole (pietre) del Vangelo. Dove c’è scritto, da qualche parte, quello che il palestinese disse agli apostoli che cercavano di non far avvicinare i bambini pensando potessero infastidirLo … ”lasciate che i pargoli vengano a me”!
Cosmo Di Carlo

2 commenti:

markus ha detto...

parole sante cosmo, anzi santissime

come non essere d'accordo con te

Mario Midulla ha detto...

A completamento del mio intervento, cito quanto scrisse in suo articolo l'arcivescovo di Monreale Mons. Cataldo Naro:
"...Il terzo aspetto dell’insegnamento di Giovanni Paolo II che merita di essere ricordato in rapporto alla Sicilia è il suo invito a una chiara consapevolezza dell’incompatibilità tra la professione di fede cristiana e l’appartenenza alla mafia o la collusione con la mafia e, conseguentemente, a un impegno di lotta alla mafia con tutte le nostre risorse, compreso e specialmente il linguaggio della tradizione cristiana. Tutti ricordano le parole che il papa “gridò” nella Valle dei Templi nel suo viaggio del 1993. Nei confronti della mafia usò le parole antiche della tradizione cristiana: peccato, giudizio di Dio, conversione. Parole antiche ma che fondavano un nuovo linguaggio nel “discorso” (fatto di parole e di gesti) che la Chiesa di Sicilia, sotto la guida del cardinale Pappalardo, aveva condotto lungo gli anni Settanta e Ottanta..." (da Giorn8tto, aprile -settembre 2005)