mercoledì 1 luglio 2009

La polemica. Regione Siciliana. Una formalità chiamata democrazia

Francesco Palazzo
Con il nuovo governo regionale in fase di decollo, ci si potrebbe porre una semplice domanda: a cosa servono le elezioni? Esse sono uno strumento con cui il popolo compone maggioranze e opposizioni.
Il centrodestra ha vinto le regionali del 2008 con un insieme di partiti che sostenevano Lombardo. In una scheda si potevano votare il nome da mandare all´Ars e uno dei candidati alla presidenza. La coalizione di Lombardo, dei novanta seggi a disposizione, ne aveva presi sessantuno. Ora è accaduto che Lombardo abbia perso per strada alcuni deputati e un intero partito. Dei sessantuno parlamentari, occorre togliere i dodici attuali dell´Udc, passata, o costretta, all´opposizione. E siamo a quarantanove. Non è finita, e non è solo una questione di numeri d´aula. L´Udc ha ottenuto alle regionali quasi 340 mila voti, sfiorando il 13 per cento. Questi elettori confermano la svolta alla Regione? Non lo sapremo mai. La democrazia rappresentativa diventa pura formalità. Anche quando ai quarantanove onorevoli c´è da toglierne, pare, altri nove del Popolo della libertà. Ai quali non è piaciuta la virata lombardiana, ovvero sono rimasti fuori dai giochi. Ai 340 mila di prima dobbiamo aggiungerne altri 250 mila, la dote elettorale che i nove, a occhio e croce, hanno portato alla causa del centrodestra. Trecentoquarantamila più duecentocinquantamila fa circa seicentomila voti. Rappresentano il 40 per cento del consenso dei partiti che hanno portato il leader autonomista a Palazzo d´Orleans. Seicentomila votanti. Una fila interminabile di persone. Hanno votato democraticamente? E chi se ne infischia, qui si lavora per la storia. Senonché ci sono argomenti più stringenti. Quarantanove meno nove fa, le sorprese non finiscono mai, quaranta. Quindi il governo regionale appena rinato non ha una sua maggioranza. La cercherà dove e quando possibile. I prezzi che la Sicilia pagherà a queste geometrie variabili saranno, ci vuol poco a capirlo, pesanti. In un sistema democratico tale circostanza può creare qualche problema. Ma sino a quando non costruiranno il ponte sullo Stretto si tratta di complicazioni lievi come piume. È vero, c´è sempre l´opposizione, adesso maggioranza, che può intervenire. Sembra tuttavia che l´Udc, il gruppo dissenziente del Pdl e il Pd pensino a tutt´altro. I primi due a rientrare al più presto nell´area di governo, il terzo non si sa bene esattamente a cosa aspiri. Diviso com´è tra la deputazione che lo rappresenta all´Ars e la dirigenza impalpabile che al momento guida il partito a livello regionale. Due linguaggi diversi, per un partito che gode scarso gradimento nell´elettorato, sono un lusso che non si comprende. Per ristabilire un minimo la sovranità popolare, si potrebbe ricorrere allo Statuto regionale. Che non è un anonimo libretto di istruzioni, ma parte integrante della Costituzione. L´articolo 10 prescrive che diciotto deputati possono presentare una mozione di sfiducia contro il governo. Se approvata dalla metà più uno dei parlamentari, si torna alle urne. Questa procedura lineare, celebrata all´interno della massima istituzione siciliana, darebbe a tutti la possibilità di capire. Il Partito democratico ha i numeri per presentare la mozione. Cosa ancora lo trattenga, è un mistero. Più che una strategia oppositiva, di fatto, è una specie di tutela del governo in carica. Anzi c´è chi sostiene, sempre nel Pd, una teoria curiosa. Non si chiedono nuove elezioni perché i siciliani non sono maturi per un consenso consapevole. Mentre sono abbastanza adulti, evidentemente, per vedere stravolte le intenzioni che hanno depositato nelle urne poco più di un anno addietro. Non siamo, infatti, di fronte a un rimpasto di democristiana memoria. Ma a un vero ribaltamento, abbastanza confuso, della situazione preesistente. La verità è che nelle leggi elettorali, a qualsiasi livello di rappresentanza, visto che ormai la politica risponde soltanto alla norma che vincola, occorrerebbe inserire un articolo di poche parole. Che obblighi, senza tante chiacchiere, quando vengono meno le maggioranze legittimate dal voto, a ripresentarsi davanti al popolo sovrano.
LA REPUBBLICA PALERMO – MERCOLEDÌ 01 LUGLIO 2009

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