domenica 6 dicembre 2009

Quelli della "Catturandi" si raccontano...

Il loro capo racconta, sorridendo, che a notte fonda, quando ormai la Mobile era deserta e in ufficio era rimasta soltanto la squadra, i ragazzi continuavano a proporgli indagini, idee. "Andavano a duemila - dice Mario Bignone, che in un anno di permanenza alla Catturandi di Palermo ha arrestato il numero due e, ieri, il numero tre di Cosa nostra Gianni Nicchi - Io ero stanco morto e loro pensavano alle prossime inchieste". Loro, i ragazzi - anche se i più grandi hanno superato i 40 - ridacchiano seduti attorno alla scrivania del capo, al secondo piano della Mobile. Pronti a raccontare minuto per minuto il blitz che ieri ha portato in cella il capomafia Gianni Nicchi, cauti quando le domande, dall'operazione, si spostano sull'inchiesta. Più che una squadra investigativa sembra una famiglia. Come tra fratelli ci si prende in giro, ci si danno soprannomi che poco hanno a che vedere con la figura dei "guerrieri" senza paura che i media gli dipingono addosso. Si chiamano Bracco, Don, Verbese - come la marca di un vino siciliano a buon mercato - Panda, nome affibbiato a un corpulento agente per sue le occhiaie scure. Hanno smesso di contare le ore di lavoro. "Forse 24 al giorno - dicono - ma questa non è una professione che fai guardando l'orologio. E nemmeno lo stipendio". Su una cosa sono tutti d'accordo: la caccia ai latitanti è una passione che ripaga dei sacrifici, enormi, personali ed economici. Molti di loro sono alla Catturandi da 16 anni: Don, ad esempio, che tra poco sarà trasferito. "E' ora di dare un po' di spazio anche alla famiglia", dice. Una carriera lunga la sua, tanto da ricordare straordinari successi come la cattura di Giovanni Brusca e del capo dei capi Bernardo Provenzano. Ma non ci sono esperienze più o meno forti. "Ogni arresto - dicono - é una cosa a sé, ha una storia". "Però in tutti - spiega Bracco - quando sei vicino alla meta, lo senti a pelle. Sono segnali oggettivi che trovano conferma in una straordinaria sensibilità sviluppata in anni di indagini. A quel punto sai che stai arrivando e cominci ad accumulare un'adrenalina unica". I momenti che procedono il blitz si vedono tutti nella stanza del capo, indossano la maglietta col loro logo e il mephisto e, piantina alla mano, si dividono i compiti. "Tutto viene programmato nei minimi dettagli. - dice Don - C'é chi circonda l'edificio, chi sale ai piani superiori, chi entra nei covi". "Ieri - raccontano - quando siamo entrati, abbiamo visto Nicchi appeso a un serbatoio del cortile interno dell'appartamento. Voleva salire sul tetto e fuggire da lì. Ha alzato la testa e si è visto dieci revolver col colpo in canna puntati contro. Lo abbiamo afferrato e tirato su". Una fuga breve, quella del boss, tentata più per istinto che per convinzione. Poco prima di sfondare la porta con una mazza - "in genere non ci aprono spontaneamente", racconta Bracco ridendo - il capo comincia a incitarli. "Dai, così, andate", gli grida. "Ho ancora nelle orecchie la sua voce", dice uno degli agenti. Ma la parola che fa scattare la festa è: "Positivo", urlata quando c'é la certezza che la meta è raggiunta. Allora arrivano la gioia, gli abbracci. "La mia è una macchina straordinaria", dice Bignone che può vantare anche una pagina di Facebook dedicata ai suoi ragazzi che finora ha 1297 fan. Ma gli agenti ci tengono a precisare che senza i mezzi e, soprattutto, le intercettazioni, nulla sarebbe possibile. Di parlare di straordinari che non arrivano, oggi, però non hanno voglia. Questo è il giorno dei festeggiamenti. "Da domani si ricomincia - spiegano - E' come una droga. Raggiunto l'obiettivo, ci si mette subito a lavorare al prossimo".
SiciliaInformazioni, 5 dicembre 2009

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