mercoledì 10 novembre 2010

I 50 anni di Punta Raisi fra lutti e sogni di gloria

Punta Raisi, anni '60
di ENRICO DEL MERCATO

Il volo fu tranquillo e a bordo servirono una cena da grandi occasioni. Era il 2 gennaio del 1960, quel giorno moriva Fausto Coppi e il Convair 440 dell'Alitalia in servizio da Roma a Palermo inaugurò la pista del nuovo aeroporto internazionale di Punta Raisi. Cinquant'anni di storia dello scalo che si intrecciano con quelli della città. Gli arrivi "famosi" e le tragedie entrate a far parte del sentimento collettivo dei palermitani. Quella sera, a bordo, le hostess servirono un menu da grandi occasioni: antipasto di prosciutto, involtini di carne con contorno di funghetti, formaggio, dolce, frutta. E, ovviamente, vino. Qualcosa di infinitamente lontano dal succo di frutta o dal caffè (molto spesso a pagamento), che riesci a ottenere oggi nell'era del low cost. Ma quello, era il volo che inaugurava il nuovo aeroporto internazionale di Palermo Punta Raisi.
Alle 20,32 del 2 gennaio 1960 il "Metropolitan Convair 440" del'Alitalia posava le sue ruote sulla pista a due passi dal mare battezzando lo scalo che fa parte dell'immaginario personale di ogni palermitano sparso per il mondo. E che, soprattutto, è uno dei punti cardinali di quella mappa non scritta che disegna il sentimento collettivo di una città. I cinquant'anni dell'aeroporto, la Gesap (la società che gestisce l'aeroporto) li ricorda con una gigantografia in bianco e nero appesa nell'area partenze nella quale si vedono operai al lavoro per spianare il terreno pietroso sul quale sarebbe sorta la prima pista. E già quei gesti suscitano, accanto al languore che ogni ricordo si porta appresso, la nebbia fosca del mistero e delle trame. Sì, perché l'aeroporto di Punta Raisi non sarebbe dovuto sorgere lì, in quella zona ventosa e stretta tra l'acqua e le montagne.
Correva l'anno 1953 e l'aeroporto di Boccadifalco, terzo in Italia a quel tempo per volumi di traffico, si mostrava insufficiente a garantire la richiesta dei viaggiatori palermitani. Il nuovo scalo cominciò a prendere forma con la costituzione del "Consorzio autonomo per l'aeroporto di Palermo" sul quale piovve subito un finanziamento di cinque miliardi di lire da parte del governo centrale.
Servivano, quei soldi, ad avviare la progettazione. Peccato, però, che i tecnici incaricati degli studi avessero individuato come zona idonea sulla quale costruire il nuovo aeroporto quella che va da Aspra ad Acqua dei Corsari. Da tutt'altra parte, dunque. Sapremo dopo, a cose fatte, che gli interessi della mafia (del clan Badalamenti in particolare come denuncerà Peppino Impastato) e della politica si appuntavano, invece, sui terreni della zona a ovest della città. Terre di pascolo di vacche, poco adatte - per posizione ed esposizione ai venti - ad ospitare decolli ed atterraggi, ma dalla cui cessione Cosa nostra - che anni dopo di Punta Raisi avrebbe fatto il centro di un proficuo traffico di eroina via cielo con gli Stati Uniti - ricavò denaro a palate.
Quando le relazioni dei tecnici incaricati dal consorzio sulla scarsa affidabilità della zona si fecero insistenti, la Regione decise di avocare a sé la pratica. Costituì un ufficio ad hoc presso l'assessorato ai Lavori Pubblici e scelse, senza indugio, Punta Raisi. Era il 1956. Quattro anni dopo - con un anticipo di 18 mesi sui tempi previsti per la consegna, un record che sarebbe rimasto isolato nella successiva storia delle opere pubbliche in Sicilia - il "Convair 440" dell'Alitalia inaugurò il nuovo aeroporto internazionale di Palermo.
Era il 2 gennaio del 1960, quel giorno moriva Fausto Coppi e alla Regione Silvio Milazzo provava a tenere in piedi quel che rimaneva del suo governo autonomista, inviso alla Dc di Amintore Fanfani. Cominciava allora, con una lavagna sulla quale col gesso venivano scritte le destinazioni (c'erano voli per Roma, Milano, Tunisi, Catania) la cinquantennale storia dell'aeroporto che, spesso, si sarebbe intrecciata con quella della città.
Viaggiarono, i passeggeri di quel primo volo, a 4 mila metri di quota da Roma Ciampino a Palermo in un'ora e dieci minuti. La cena fu servita quando dai finestrini si scorgevano le luci di Napoli e, al momento del caffè, sotto la fusoliera scorreva la sagoma di Ustica abbandonata alla deriva nel Tirreno. Fu un volo piacevole, raccontano le cronache. Il primo passeggero a mettere piede sulla nuova pista si chiamava Gaetano Russo, avvocato palermitano con studio a Roma. Il pilota che, per primo, saggiò Punta Raisi, invece, fu un triestino di 29 anni, Ferdinando Fioretti, che riferì le sue impressioni: "Illuminazione buona, visibilità ottima, pista lunga e sicura". Ma - aggiunse il pilota - "difettano un poco le segnalazioni sulla montagna".
Non immaginava, il comandante Fioretti, che quelle sue parole sarebbero suonate come vaticinio triste. Su quella montagna, dodici anni dopo, si sarebbe schiantato un Dc 8 dell'Alitalia in arrivo da Roma consegnando il nome di quella cresta rocciosa - Montagna Longa - alla triste toponomastica della città. Fu la prima, grande tragedia dell'aviazione civile. A tutt'oggi il disastro maggiore occorso alla ormai ex compagnia di bandiera. Era il 5 maggio del 1972, due giorni dopo il Paese sarebbe andato alle urne per le prime elezioni anticipate dell'era repubblicana e sul Dc 8 "Antonio Pigafetta" con 115 persone a bordo c'erano tantissimi palermitani che tornavano a casa proprio per votare.
Morirono, tra gli altri, il regista Franco Indovina, l'allora consulente giuridico della commissione Antimafia Ignazio Alcamo, il figlio dell'allenatore della Juventus Cestmir Vycpaleck - che proprio a Palermo era riparato dalla natìa Cecoslovacchia - i giornalisti de L'Ora Angela Fais e Antonio Scandone. Su quella tragedia sorsero leggende come quella che voleva che sul Dc 8 viaggiasse anche la compagna di Francesco De Gregori e che, proprio a lei, il cantautore avesse dedicato la sua canzone "Disastro aereo sul Canale di Sicilia" e i versi di "Buonanotte fiorellino" ("un raggio di sole si è posato proprio sopra il mio biglietto scaduto").
Da allora, comunque, per i piloti Punta Raisi divenne "la trappola d'Europa" e l'aeroporto fece dolorosa irruzione nella memoria collettiva. Magari non sarà qualcosa di paragonabile a quello che accade agli americani che ancora oggi si chiedono l'un l'altro dove fossero nel giorno in cui uccisero Jfk, ma su internet c'è un blog dedicato alla tragedia di Montagna Longa, sul quale compaiono i post di chi ricorda un parente o un amico perduto. O, semplicemente, dove si trovava quel giorno. È la prima, tragica, esperienza condivisa dei palermitani alla quale lo scrittore Eduardo Rebulla ha dedicato il suo romE - come su tutte le esperienze condivise che intessono il destino irresoluto della città - grava il peso del non detto. Del non spiegato fino in fondo. Su quella montagna, adesso, c'è una croce (la fece mettere l'ingegnere Salatiello ex patron della Keller che nella sciagura perse un figlio) e un carico di dubbi. Sollevati da alcuni dei parenti delle vittime per i quali non si indagò abbastanza sullo scenario tracciato nel rapporto del vice questore di Trapani Vincenzo Peri. Il poliziotto attribuiva la tragedia non all'errore del pilota, ma ad un attentato maturato nel mondo che metteva assieme la mafia e le organizzazioni neofasciste.
In quegli anni cresceva la città che si riempiva di palazzi e cemento e cresceva pure l'aeroporto. Più traffico, una nuova torre di controllo. La zona di Punta Raisi si trasformava nella grande dependance estiva dei palermitani. Tutta la costa, oggi, è punteggiata di villette. Sono quelle le luci che i piloti del Mc Donnel Douglas in volo da Roma a Palermo scambiarono per la pista il 23 dicembre del 1978. Anche quella volta l'aereo era pieno di gente che tornava a casa, stavolta per il Natale. L'aereo piomba sul mare, dei 129 passeggeri a bordo se ne salvano 21. È un'altra tragedia che entra nel sentimento collettivo della città. Solo che, stavolta, ci sono i sopravvissuti che possono raccontarla.
Il "passeggero Pavone" (l'urologo Carlo Pavone che nuotò fuori dalla carlinga riuscendo a mettersi in salvo) diventa figura centrale del libro "Notizie del disastro" di Roberto Alajmo che raccoglie le storie e i destini incrociati dei passeggeri di quel volo. E che conferma, una volta di più, come l'aeroporto sia talmente inserito nel panorama interiore dei palermitani da diventare topos letterario, in una città condannata a riconoscere i luoghi dell'appartenenza comune attraverso le tracce del dolore e del mistero. Perché Punta Raisi negli anni a venire accoglierà Papa Woytjla in visita, capi di Stato, le squadre di calcio che vengono a Palermo per i campionati mondiali del 1990. Ma, l'aeroporto stretto tra l'acqua e la montagna, si legherà irresolubilmente alla memoria della città nel 1992.
Giovanni Falcone atterra lì, con la moglie Francesca Morvillo, il 23 maggio. E lì, da qualche parte, qualcuno ne scruta le mosse. Avverte i sicari appostati sull'autostrada. Nell'inconscio collettivo non c'è distanza tra l'aeroporto e Capaci dove il giudice viene fatto saltare in aria. E, infatti, oggi l'aeroporto si chiama "Falcone e Borsellino". Molti, quando ci atterrano, riflettono sul fatto che quei nomi al viaggiatore che arriva comunicano il senso di una Sicilia nuova, perfino capace di slegarsi dalle catene di sopraffazione e dolore che la storia le cuce addosso. A qualcuno non piace. Gianfranco Micciché, nel 2007 da presidente dell'Assemblea regionale, si lascia sfuggire un sentimento di fastidio: "Che immagine negativa trasmettiamo subito col nome dell'aeroporto". Insomma, l'aeroporto c'è sempre nei pensieri dei palermitani. Che si chiami Punta Raisi o "Falcone e Borsellino".
Che evochi le dolcezze di un arrivo, le speranze di una partenza o il dolore di un ricordo. Sono stati cinquant'anni non banali quelli trascorsi insieme dalla città e dal suo aeroporto. Dalle relazioni dei tecnici - nel 1953 - che sconsigliavano di costruirlo lì, a quelle di questi giorni che rivelano come oltre la metà dei casi di windshare registrati in Italia si verificano proprio a Punta Raisi come sa bene il pilota del jet finito fuori pista a settembre, per fortuna senza conseguenze. È una storia lunga, dolorosa e intensa quella che lega i palermitani al loro aeroporto. Forse anche per questo quando si atterra, ancora oggi, i passeggeri applaudono il pilota. E, fuori, appena oltre la porta della zona arrivi, c'è sempre tanta gente. Come se ogni arrivo fosse un evento memorabile.
La Repubblica, 9.11.2010

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