sabato 5 marzo 2011

L'allarme sulla trattativa coi boss perduto nei cassetti dell'Antimafia

di SALVO PALAZZOLO
Il Parlamento era stato avvertito nel settembre '93. La nota inviata dal Servizio centrale operativo della polizia alla Commissione presieduta da Luciano Violante anticipa di tre anni le rivelazioni ai magistrati del pentito Giovanni Brusca. Di recente, il documento (ancora classificato come "riservato") è stato ritrovato negli archivi di Palazzo San Macuto
PALERMO - Tre anni prima delle rivelazioni del pentito Giovanni Brusca ai magistrati, qualcuno ai vertici dello Stato aveva già scoperto la trattativa fra Cosa nostra e pezzi delle istituzioni. Proprio mentre era in corso, nel settembre 1993: un mese e mezzo prima, i boss avevano lanciato la loro ultima sfida a Milano, con un´altra bomba, dopo quelle di Roma e Firenze. La linea ufficiale dello Stato era quella della fermezza, soprattutto nelle carceri. Ma, intanto, pezzi delle istituzioni avrebbero trattato con pezzi della mafia, per arrivare a un compromesso. Una verità drammatica, allora inedita anche per i pm che indagavano sulle stragi Falcone e Borsellino: per la prima volta, veniva prospettata dal servizio centrale operativo della polizia, che aveva raccolto alcune importanti informazioni. Immediatamente, lo Sco mise in allerta la commissione parlamentare antimafia, allora presieduta da Luciano Violante, con un documento «riservato». Ma quel documento è rimasto chiuso fino a qualche settimana fa negli archivi della commissione antimafia. È saltato fuori durante le indagini che i commissari di Palazzo San Macuto stanno conducendo sul ‘92-´93. E adesso, un pezzo di storia dell´antimafia dovrà essere riscritta.
«Protocollo 123G/731462/10/I-3. Roma, 11/9/1993». «Oggetto: Attentati verificatisi a Roma, Firenze e Milano. Per quanto d´interesse si trasmette appunto riservato concernente gli attentati». Firmato, «il direttore del servizio». Su questo foglio che porta l´intestazione dello Sco c´è un timbro della commissione antimafia: «Arrivato il 14/9/1993». «Obiettivo della strategia delle bombe - scriveva lo Sco - sarebbe quello di giungere a una sorta di trattativa con lo Stato per la soluzione dei principali problemi che attualmente affliggono l´organizzazione: il "carcerario" e il "pentitismo"». Non fu per un´intuizione investigativa che per la prima volta la parola "trattativa" finì in un documento dello Stato. Lo Sco precisava: «Nel corso di riservata attività investigativa funzionari dello servizio hanno acquisito notizie fiduciarie di particolare interesse sull´attuale assetto e sulle strategie operative di Cosa nostra». Da qualcuno ben informato gli investigatori avevano saputo che dopo il fallito attentato a Maurizio Costanzo (a Roma, il 14 maggio), «i successivi attentati non avrebbero dovuto realizzare stragi - così scrivevano - ponendosi invece come tessere di un mosaico inteso a creare panico, intimidire, destabilizzare, indebolire lo Stato, per creare i presupposti di una "trattativa", per la cui conduzione potrebbero essere utilizzati da Cosa nostra anche canali istituzionali». In tre pagine, datate «Roma, 8/9/93», c´erano già i protagonisti della trattativa: i boss e non meglio identificati «canali istituzionali». Lo Sco (allora diretto da Nicola Simone, con Antonio Manganelli e Alessandro Pansa fra i più stretti collaboratori) proseguiva: «Per raggiungere l´obiettivo della "trattativa" - secondo le fonti informative - la strategia del terrore potrebbe proseguire con analoghe iniziative criminali e, poi, con una seconda fase in cui verrebbero eseguiti attentati volti all´uccisione di personaggi impegnati nella lotta alla mafia». Era un´altra drammatica realtà: dopo Milano, Cosa nostra puntava a far saltare in aria un pullman di carabinieri, a Roma. Ma poi, all´improvviso, i boss si fermarono. «Molti, all´interno delle istituzioni, continuano a negare l´esistenza della trattativa - dice il senatore Giuseppe Lumia, del Pd, componente dell´Antimafia - mentre ormai abbiamo le prove che già nel ‘93 era citata nei documenti ufficiali». Chissà se la nota dello Sco finì mai sulla scrivania del ministro della Giustizia Conso, che a novembre fece scadere 140 decreti di 41 bis.
La Repubblica, 4 marzo 2011

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