lunedì 11 aprile 2011

Intervista a Gaetano Alessi: "Un giornale contro la mafia per ridare dignità e futuro alla Sicilia"

di Giuseppe Rizzo Abita a Bologna ma vive a Raffadali. Lavora nella grande distribuzione ma fa il giornalista. Non ha una laurea ma tiene corsi di giornalismo all'Università. La vita di Gaetano Alessi, 34 anni, oscilla tra due estremi: da un lato le necessità quotidiane, che lo hanno portato nel capoluogo emiliano per lavoro, e dall'altra i sogni. E proprio inseguendone uno è nato ad AdEst, periodico fondato con il sostegno di Vittoria Giunti, partigiana e primo sindaco donna della Sicilia. Un giornale di denuncia che gli ha fatto vincere l'anno scorso il premio di giornalismo Pippo Fava, sezione giovani.
La prima cosa che si sente dire di te è che sei un gran rompiballe. La seconda è: “Ma chi glielo fa fare?” E allora: chi te lo fa fare?
Sinceramente la risposta non la so nemmeno io. Se ne dovessi scegliere una direi: la gente con cui ho avuto la fortuna di lavorare, la gente con cui abbiamo cercato di creare futuro. Perché il bello della mia vita è che è una storia d’insieme. Di gente che non si è rassegnata a chinare la testa al “potente” e che ha trovato nella solidarietà e nel concetto di libertà due ideali per combattere.
Com'è nato Ad Est?
Noi siamo stati la nemesi dell’ascesa al potere di Salvatore Cuffaro. Ci siamo opposti da ragazzini proprio in quella Raffadali che all’ex senatore aveva dato i natali. Un’intuizione della partigiana Vittoria Giunti ci diede anche il “mezzo”. Una storia che comincia nel febbraio del 2003 e che ancora oggi vive una delle sue stagioni più belle, nonostante da sempre il giornale viva esclusivamente di sottoscrizioni.
Che lezione ti ha trasmesso Vittoria Giunti?
Vittoria è stata per noi un dono. Ci ha insegnato che c’è sempre una via d’uscita, ci ha indicato, senza nasconderci che saremmo dovuti passare dal tritacarne delle intimidazioni, delle minacce, delle torture psicologiche ai nostri cari, la strada da seguire: quella della dignità. Ci ha insegnato che sacrificare un po’ di noi stessi ad un valore più alto, quello di creare per gli altri un futuro più degno del nostro presente, era un ottima ragione di vita. Riusciva a darci la forza anche sul letto di morte. La sua eredità è negli occhi delle decine di ragazzi che oggi scrivono su ad AdEst.
Com'è l'Italia vista dalla Sicilia?
Un grande bailamme di suoni stonati. Un paese che ha sempre trattato la Sicilia come una “provincia dell’impero”. Ma ogni tanto tra queste note stonate ne esce qualcuna straordinariamente intonata come la “Resistenza” a ricordarci che “siamo solo se stiamo insieme”.
E la Sicilia vista da fuori?
E' una terra che sa come farsi del male, che non impara dai suoi errori ed è un luogo che genera mostri ed eroi. La sentenza Cuffaro, che per la prima volta porta in carcere un bel pezzo del potere siciliano, poteva essere un punto di partenza per una “rinascita” siciliana ma è già stata dimenticata, perché quel meccanismo perfetto che da sempre lega nell’isola imprenditoria, massoneria, mafia, politica e giornalismo deviato ha ancora gli artigli ben piantati nel cuore dell’isola.
Cosa manca per liberarsi definitivamente di Cosa Nostra?
Serve una battaglia culturale della società per riprendersi il territorio, per far sentire alla mafia che in quella terra non c’è più spazio perché il lavoro si crea dalla solidarietà tra chi ci abita. Una battaglia fatta anche di simboli. Al loro vascello carico di soldi e potere, noi opponiamo la nostra piccola nave pirata carica di idee. Alla lunga la vinceremo noi, con AdEst alla fine è stato così.
Lo Stato, oggi, è presente o no?
Lo Stato sotto forma del Governo Berlusconi è presentissimo: scudo fiscale, federalismo demaniale, legge sulle intercettazioni sempre in discussione ad aiutare palesemente “cosa nostra”. Funzionari corrotti, politici venduti e incapaci e come ultima ciliegina Saverio Romano ministro della Repubblica. Più presente di così.
Cosa leggi negli occhi dei ragazzi che oggi si impegnano in questa lotta?
Leggo la voglia di contaminare e contaminarsi, leggo la voglia di riscattare l’apatia con cui i loro genitori li hanno costretti a vivere un presente di “precariato” perenne, leggo la voglia di “disobbedire”, ma soprattutto leggo la voglia trasformare parole come giustizia sociale, lotta alla mafia, emancipazione, da “manifesti” ad atti di tutti i giorni. Amo questa generazione perché ad ogni metro del suo cammino non solo conquista un presente più dignitoso in cui vivere ma crea un futuro migliore per chi verrà dopo. Come se i figli della “Resistenza” fossero nati con 50 anni di ritardo..
TRATTA DA L'UNITA' - RUBRICA "I NUOVI MILLE CHE FARANNO L'ITALIA"

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