lunedì 6 giugno 2011

"Il bandito Giuliano è in America, sano e salvo". Lo scrivevano i giornali americani nella primavera del 1950...


Il corpo di Giuliano (?) nel cortile Di Maria
Gli archivi dell'FBI a Washington potrebbero finalmente svelare la verità su Salvatore Giuliano", affermano Giuseppe Casarrubea e Mario J. Cereghino, autori dell'esposto che, un anno fa, ha fatto riaprire il caso della presunta morte del bandito di Montelepre. Nel 1950, sui quotidiani americani spunta a sorpresa anche il nome del boss di Cosa Nostra Gaetano Badalamenti, "un ex luogotenente di Salvatore Giuliano". Badalamenti, nel 1978, ordinerà l'assassinio di Peppino Impastato a Cinisi, in Sicilia.
“Il mese scorso, Giuliano sarebbe partito dal suo rifugio nelle colline di Montelepre per raggiungere Palermo. Con l’aiuto degli uomini della sua banda e della mafia, Giuliano avrebbe quindi raggiunto Licata per poi imbarcarsi in una nave battente bandiera francese.”
E’ 18 giugno 1950 quando il giornale statunitense “Chicago Daily Tribune”, nell’Illinois, pubblica la clamorosa notizia della fuga in America di Salvatore Giuliano, siciliano di Montelepre, classe 1922, di professione bandito e terrorista, autore di oltre 400 omicidi nell’isola tra il 1943 e il 1950. Il titolo è inequivocabile: “Il re dei banditi siciliani sarebbe sano e salvo negli Stati Uniti.”
Una conferma, questa, alle non poche testimonianze secondo le quali, nel maggio del 1950, il capobanda avrebbe segretamente abbandonato la grande isola mediterranea a bordo di un peschereccio partito da Selinunte o da Porto Palo, per raggiungere la Tunisia e, da lì, il Nuovo Mondo. Sotto la protezione di Cosa Nostra e della Cia.
Sono stati lo storico Giuseppe Casarrubea e il ricercatore Mario J. Cereghino a scoprire e ad analizzare questo report e decine di altri articoli di quotidiani e settimanali, nel corso di un lunga indagine compiuta negli archivi inglesi, americani e italiani.
Un anno fa, i due studiosi hanno scritto al Questore di Palermo, chiedendo di “intraprendere un’indagine conoscitiva per accertare la vera identità della persona uccisa nel cortile dell’avvocato Di Maria, a Castelvetrano (Trapani), la notte tra il 4 e il 5 luglio 1950”. La loro richiesta è stata accolta e la Procura della Repubblica di Palermo ha riaperto il caso Giuliano. Nell’ottobre del 2010, la presunta salma del capobanda è stata riesumata nel cimitero di Montelepre (Palermo), per essere sottoposta all’esame del Dna. Era presente il dott. Antonio Ingroia, Sostituto Procuratore della Repubblica di Palermo.
Secondo il quotidiano di Chicago, nel giugno del 1950 “l’affascinante killer si troverebbe a Boston” in compagnia del cognato, Pasquale Sciortino, bandito anche lui, “che scomparve diverso tempo fa dalla Sicilia e il cui nome suscita il medesimo terrore evocato da Giuliano”. Le fonti dell’articolo sono l’agenzia Reuters e un giornale della comunità italiana di Boston, “Il Momento”. Sciortino sarà arrestato a San Antonio (Texas) nel 1952 ed estradato in Italia, dove sconterà una condanna di vent’anni di reclusione per aver preso parte all’eccidio di Portella della Ginestra (1° maggio 1947) e per aver organizzato gli attacchi alle Camere del Lavoro della provincia di Palermo nel giugno del 1947. Nel Texas, Sciortino lavorava in una base della U. S. Air Force.
Lo scoop del “Chicago Daily Tribune” ha l’effetto di una bomba nell’East Coast e viene ripreso anche da altri mezzi di informazione americani (ma ne parla anche “La Stampa” di Torino, sempre il 18 giugno 1950). Tanto che il capo della polizia di Boston, Edward W. Fallons, è costretto a convocare una conferenza stampa. “Non siamo in possesso di informazioni che indichino la presenza di Salvatore Giuliano a Boston – dichiara – . In ogni modo, non abbiamo alcun contenzioso con lui. Se Giuliano si trovasse a Boston, sarebbe un caso di competenza dell’Fbi o dell’Ufficio Immigrazione statunitense.”
Passano poche ore e, da Roma, è il ministro degli Interni Mario Scelba in persona a smentire seccamente la notizia divulgata dal quotidiano americano. Il processo di Viterbo per la strage di Portella della Ginestra è iniziato da pochi giorni e il terrorista è l’imputato numero uno, ricercato da quando, nel settembre del 1943, ha compiuto il suo primo omicidio ai danni di un milite dell’Arma dei Carabinieri.
Ma non è la prima volta che i media americani si occupano di Giuliano. Il “Daily Boston Globe”, il 18 dicembre 1949, aveva segnalato che il terrorista “starebbe pianificando di scappare negli Stati Uniti”, mentre il “Chicago Daily Tribune”, il giorno stesso, aveva scritto che “Giuliano era sfuggito ad una retata della polizia ed era scappato dalla Sicilia. […] Secondo un altro dispaccio, Giuliano aveva svelato al giornalista Jacopo Rizza: ‘Andrò negli Stati Uniti e metterò in piedi alcune fabbriche. Non ho paura del viaggio perché sono sicuro di riuscire a procurarmi documenti falsi’.”
Le dichiarazioni del capo della polizia di Boston non passano inosservate. Anzi. Pochi giorni dopo, il 23 giugno 1950, il “New York Times”, pubblica la notizia che “l’Ufficio Immigrazione degli Stati Uniti ha annunciato stasera di avere arrestato oltre ottanta persone (tra costoro, un noto gangster italiano), nel corso di un’operazione volta a smantellare un’organizzazione che favoriva l’immigrazione clandestina”.
Ed ecco la seconda sorpresa che emerge dai quotidiani americani: “Uno degli stranieri è stato identificato come Gaetano Badalamenti, un ex luogotenente di Salvatore Giuliano, il capobanda siciliano. Badalamenti è stato arrestato in un sobborgo di Wyandotte, nel Michigan, il mese scorso.”
All’epoca, Badalamenti, il “noto gangster italiano”, non ha ancora trent’anni e, fino al 1947 (anno in cui arriva in America dalla Sicilia), ha fatto parte della banda Giuliano. Diventerà uno dei capi assoluti di Cosa Nostra sulle due sponde dell’Oceano Atlantico e, nel 1978, ordinerà l’assassinio di Peppino Impastato, il militante siciliano di “Democrazia Proletaria”, al quale il regista Marco Tullio Giordana ha dedicato, dieci anni fa, la pellicola “I cento passi”.
Ma non è tutto. Il 9 luglio 1950, qualche giorno dopo la presunta morte del bandito, il giornalista Alex Valentine (“Daily Boston Globe”) riferisce che Giuliano “aveva esportato capitali per circa 750.000 dollari, soprattutto nelle banche americane e in quelle dell’Africa settentrionale [in Tunisia]. La polizia e fonti non ufficiali stimano che, nel corso del suo regno quinquennale, Giuliano abbia accumulato un milione e mezzo di dollari. […] Secondo le autorità italiane, Giuliano aveva nascosto il suo denaro all’estero perché stava pianificando di abbandonare la Sicilia”.
“L’affaire Giuliano non è affatto chiuso – dichiarano Casarrubea e Cereghino – . L’esame del Dna compiuto dai periti medici Renato Biondo e Francesco De Stefano sul cadavere riesumato a Montelepre l’anno scorso, ha dato risultati tutt’altro che certi. Fa bene, quindi, la Procura della Repubblica di Palermo a continuare le indagini a 360 gradi.”
“Non sono poche le piste che portano alla fuga del terrorista in America nella primavera del 1950 – continuano i due studiosi – . Poco prima di spirare alla veneranda età di 98 anni, nel maggio del 2010, l’avvocato Gregorio Di Maria, il proprietario della casa di Castelvetrano dove si era consumata la messinscena della ‘morte’ di Giuliano, confessò ai due infermieri che lo accudivano nel nosocomio della cittadina, che ad essere ammazzato nella notte tra il 4 e il 5 luglio 1950 era stato, in realtà, un sosia del terrorista. A procurare il cadavere era stata la mafia. I due infermieri, Salvatore Di Giovanni e Giusto Zito, sono stati a lungo ascoltati dai magistrati di Palermo all’inizio di quest’anno ed hanno fornito ulteriori dettagli.”
Un altro filone delle indagini riguarda un ex agente dei servizi segreti italiani, già collaboratore della Procura della Repubblica di Brescia. Ascoltato dagli inquirenti, l’ex spia ha raccontato di aver personalmente accompagnato Salvatore Giuliano al funerale della madre, Maria Lombardo, deceduta nel gennaio del 1971 a Montelepre. All’epoca, Giuliano aveva 48 anni e viveva sotto falso nome negli Stati Uniti. E’ una notizia, questa, che è stata divulgata dal giornalista palermitano Giuseppe Lo Bianco in un articolo uscito su “Il Fatto Quotidiano” nell’ottobre 2010. L’“Operazione Giuliano” sarebbe stata gestita nel 1950 dall’“Anello” o “Noto Servizio”, la misteriosa entità dell’intelligence italiana che avrebbe fatto capo a Giulio Andreotti, all’epoca sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. A confermarlo, è stato l’ex venerabile della P2, Licio Gelli, nel febbraio di quest’anno (se ne sono occupati il “Corriere della Sera” e il settimanale “Oggi”). E, sul tema, la giornalista Stefania Limiti ha scritto un libro, “L’Anello della Repubblica”, uscito per Chiarelettere nel 2009.
Ma in questa storia c’entra addirittura Padre Pio, come ci racconta il giornalista Lello Vecchiarino. In vari articoli pubblicati da “La Gazzetta del Mezzogiorno” e in un libro (“Padre Pio. Fango, intrighi e carte false”), il reporter cita gli scrittori Giovanni Siena e Pier Carpi, l’avvocato Ettore Boschi e il regista Rai Oberdan Troiani. A tutti, il santo del Gargano rivelò in tempi diversi che Giuliano era vivo in America e che, al suo posto, nel 1950, era stato ucciso un “povero innocente che gli assomigliava”.
“Lo studio degli articoli della stampa americana degli anni 1949-1950 apre scenari investigativi di estremo interesse – concludono Casarrubea e Cereghino – , che potrebbero forse mettere la parola fine ad uno dei più vergognosi misteri della storia criminale italiana del XX secolo. Un ‘cold case’ all’italiana in cui si citano nomi e cognomi, situazioni ed eventi sui quali in America, come abbiamo visto, indagarono sia l’Fbi sia l’Ufficio Immigrazione statunitense, almeno fino al 1952. Su queste carte, a Washington, vige ancora il segreto di Stato. Sarebbe quindi auspicabile che la Procura della Repubblica di Palermo attivasse una rogatoria internazionale per acquisire ed esaminare i fascicoli top secret sulle attività di Badalamenti, di Sciortino e, con ogni probabilità, dello stesso Salvatore Giuliano in America.”
Archivio Casarrubea - Partinico

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