mercoledì 22 giugno 2011

"Sulla strada per Corleone": intervista alla giornalista tedesca Petra Reski

La mafia esiste ormai da decenni ormai anche nel Nord d’Italia, lo racconta Giulio Cavalli in “Nomi, cognomi e infami”, ma non è di certo il punto più a nord dove scovarne le tracce. La mafia esiste anche in Germania, lo dice ormai da anni nei suoi libri Petra Reski, giornalista tedesca ormai di stanza a Venezia, che per questo motivo è stata più volte minacciata. Con il suo “Sulla strada per Corleone” ci narra il suo viaggio da Kamen fino in Sicilia, a vent’anni di distanza dalla prima volta. L’abbiamo intervistata per farci dire qualcosa in più sul suo libro.
Ciao Petra. Ti aspettavi una traduzione italiana del libro?
Visto che esistono già tanti buoni libri italiani sulla mafia, lo considero come un grande onore per me che sono tedesca. Ne sono particolarmente felice, anche perché così non devo più spiegare ai miei amici italiani di cosa tratta “Sulla strada per Corleone”. Lo possono leggere e questo è formidabile!

“Sulla strada per Corleone” è un’inchiesta ma allo stesso tempo un reportage di viaggio. Da Kamen, Germania, a Corleone, in Sicilia, per un totale di 2448 chilometri, vent’anni dopo lo stesso identico viaggio. Perché?
Ho fatto questo viaggio per la prima volta a vent’anni su una vecchia Renault 4 solo perché avevo letto “Il Padrino”. Era il mio primo viaggio in Italia, con un forte impulso folcloristico. Dell’Italia mi interessava solo la mafia, o meglio quello che io ritenevo fosse la mafia. Ero partita da Kamen, la cittadina della Ruhr dove sono cresciuta, con il mio fidanzato - che non era molto entusiasta di andare con me dritto fino a Corleone. Adesso, dopo quasi vent’anni che ho scritto sulla mafia per la stampa tedesca, ho ritenuto opportuno di fare questo viaggio di nuovo per far capire ai tedeschi che la mafia non si trova solo nel cosiddetto arretrato sud dell’Italia, ma anche nella prosperosa Germania, dove vive da quarant’anni. E poi mi piaceva l’idea di descrivere la mafia in un racconto di viaggio, attraversando i due paesi su una spider.

La mafia esiste anche in Germania, ma il fenomeno, da quello che racconti nel libro, pare molto sottovalutato dalle istituzioni tedesche. Perché?
La mafia non è sottovalutata dalle istituzioni tedesche, ma soprattutto dalla politica tedesca. Anzi, i poliziotti e i magistrati sono frustrati perché non hanno leggi adeguate a disposizione per indagare con efficienza e criticano la politica per questo. E poi la mafia viene sottovalutata anche dai mass-media tedeschi. Quando si parla di mafia, si parla sempre dell’Italia, ma quasi mai delle attività di essa in Germania. Vista la mancata informazione, i cittadini tedeschi non si rendono conto della presenza dei mafiosi italiani in Germania e di conseguenza i politici non sentono la necessità di impegnarsi in questo senso. A parte la strage di Duisburg, che viene considerata dagli stessi mafiosi un incidente di percorso, non ci sono morti. E quando non ci sono morti si tende a pensare che la mafia non esiste, così come in Italia.

Nel tuo libro dici che la Germania rappresenta un autentico Eldorado per la mafia. Ci spieghi il perché?
E’ vietato intercettare sia nelle case private che nei luoghi pubblici. Il riciclaggio è un gioco da bambini, perché la polizia deve dimostrare che i soldi investiti sono di origini mafiosa - e non l’investore. Anzi, se lui dice: “questi soldi sono stati un regalo del mio zio in Calabria”, l’indagine per riciclaggio è finita. L’associazione mafiosa, come viene interpretata nel codice penale italiano nel 416 bis, non esiste in Germania, esiste solo associazione a delinquere, con una pena massima di cinque anni. La confisca dei beni è possibile solo se c’è una sentenza definitiva per associazione mafiosa in Italia. Visto che i mafiosi attivi in Germania ci vivono spesso da decenni, non hanno precedenti in Italia, almeno non per associazione mafiosa. E’ un circolo vizioso.

Dopo la strage di Duisburg è cambiato qualcosa in Germania?
Purtroppo non è cambiato niente. Nessuna legge, nessun provvedimento, neanche un minimo di interesse da parte di un politico di rilievo. Come diceva il magistrato Nicola Gratteri: “Mi aspettavo che scoppiasse la terza guerra mondiale, invece niente”. Superato il primo duro colpo, ovvero di scoprire la mafia a casa in Germania, i tedeschi cominciavano a prendere le distanze - parlavano di “cittadini italiani che avevano ammazzato altri cittadini italiani”. Il solito processo di rimozione. La mafia sono sempre gli altri. Oggi, la strage di Duisburg viene considerata dai tedeschi come un delitto risolto. I killer sono stati arrestati, e con questi arresti la mafia in Germania sarebbe finita.

E invece vent’anni dopo la Sicilia mafiosa dove sei tornata com’è cambiata? In cosa è cambiata la mafia negli ultimi 30 anni?
E’ diventata in parte più invisibile, almeno dopo le stragi, ma per il resto è trionfante come prima. Tra l’altro, trovo incredibile che ancora oggi i retroscena delle stragi non siano stati chiariti del tutto. Negli ultimi vent’anni, la mafia ha recuperato alla grande tutto ciò che aveva perso, soprattutto il consenso politico e sociale. Questo è drammatico. Non solo per la Sicilia, ma per l’Italia. Anzi direi per l’Europa. Perché finché non c’è una volontà politica comune nel Vecchio Continente per combattere la mafia, l’Italia non ce la può fare da sola.

Tu non hai scritto solo di mafia. Credi che il modo estremamente narrativo in cui sono realizzate le tue inchieste può far sì che anche lettori che non leggerebbero mai di mafia si possano avvicinare a questo argomento?
Sono giornalista e scrittrice e per questo ho mantenuto il mio stile narrativo anche nei miei libri di inchiesta sulla mafia. In Germania sono sempre felice di scoprire che ci sono lettori che mi seguono con grande fedeltà ovunque. Leggono i miei libri sulla mafia, come hanno letto i miei libri sulla mia famiglia o sulla vita in Italia. Vorrei far capire cos’è la mafia a tutti lettori, non solo agli addetti di lavoro. Deve essere anche un piacere di lettura. Ci vuole anche l’ironia.

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